Centrostudi

Articoli e approfondimenti sulle ultime normative

Questioni di legittimità costituzionale del nuovo condono edilizio

Con il D.L. n. 269/03 convertito in legge n. 326/03 sono stati riaperti i termini per ottenere la sanatoria degli abusi edilizi ai sensi delle leggi n. 47/85 e n. 724/1994.

In base all’originaria formulazione dell’art. 32 della legge in oggetto era possibile presentare la domanda per ottenere la sanatoria entro il 31 marzo 2004. Stante, però, l’incertezza generata dalla pendenza della questione di legittimità costituzionale della legge n. 326/03 di fronte alla Consulta, la quale si pronuncerà nel merito l’11 maggio p.v. si è posta, per il legislatore, la necessità di fissare una proroga. Il decreto che fissa la nuova data (31 luglio 2004) per la presentazione delle istanze, e conseguentemente, per procedere al pagamento della prima rata dell’oblazione e dell’anticipazione degli oneri concessori, è stato emanato con D.L. n. 82 /04. Questa proroga consente ai cittadini che abbiano intenzione di presentare l’istanza di sanatoria, di attendere la pronuncia della Corte Costituzionale in merito alla legittimità dell’art. 32 della legge statale. Qualora la Corte rigettasse le varie censure sollevate, ritenendole infondate, si avrebbe, infatti, ancora tempo per presentare la domanda.

Ambito oggettivo del condono, stante l’espressa previsione dell’art. 32, sono le “opere esistenti non conformi alla disciplina vigente”. Il secondo comma dell’art. 32 afferma che “la normativa è disposta nelle more dell’adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, in conformità al Titolo V della Costituzione come disegnato nella riforma disposta con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, e comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio”.

Ricordiamo che, affinché si possa presentare l’istanza di sanatoria di un abuso edilizio, è necessario che ricorrano i seguenti presupposti:

- l’opera deve essere stata ultimata entro il 31 marzo 2003
- in caso di ampliamento non deve essersi realizzato un incremento della volumetria superiore al 30% di quella originaria o, in alternativa, superiore a 750 mc
- in caso di nuove costruzioni residenziali, il volume realizzato abusivamente non deve essere superiore a 750 mc per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria. In caso, invece, di istanze plurime, il volume dell’intera costruzione non dovrà superare i 3000 mc. (Ove la volumetria complessiva dell’immobile dovesse superare tale limite volumetrico, l’opera rischia di venir abbattuta o acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune).

Fin dall’emanazione del decreto legge n. 269/03 (poi convertito nella legge n. 326/03) si è posta la questione dei rapporti tra Stato e Regioni e della conseguente, paventata invadenza, da parte dello Stato, delle competenze legislative regionali in materia di governo del territorio (Ricordiamo all’uopo per completezza, che una circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 1995, n. 2241/UL, relativa al condono del 1994, afferma l’applicazione diretta, a tutte le Regioni, del condono stesso e delle norme relative all’oblazione. Alla base di questa argomentazione sta un punto fondamentale, di carattere penale (la possibilità di oblazione): al riguardo, la competenza spetta solo allo Stato e nessuna competenza deve essere riconosciuta all’autonomia delle Regioni o delle Province. Il diritto penale, trascina, cioè, anche la disciplina edilizia).

Alcune Regioni (Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Marche, Lazio e Campania) hanno impugnato le disposizioni statali contestandone la legittimità per avere invaso le loro competenze legislative in materia (restando, comunque, esclusa dalla diatriba la questione relativa alla disciplina penale dell’edilizia che è riservata, come detto, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato).
La Corte Costituzionale si era già pronunciata sul condono edilizio nel 1995 quando, con la legge n. 724/1994, furono riaperti i termini del condono edilizio del 1985. In quell’occasione la Consulta ritenne legittime le disposizioni che fissavano la disciplina della sanatoria poiché esse trovavano la loro legittimazione in ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria. La Corte affermava, comunque, che “una tale soluzione, ove fosse reiterata non troverebbe ragione sul piano della ragionevolezza, in quanto finirebbe col vanificare del tutto le norme repressive di quei comportamenti che il legislatore ha considerato illegali perché contrastanti con la tutela del territorio”. L’impianto della disciplina del terzo condono, nella legge n. 326/03, embra fare propria l’annotazione della Consulta, laddove ritiene ammissibile la sanatoria, nei limiti in cui questa sia finalizzata a legalizzare illeciti pregressi in un contesto, comunque, di riordino del territorio a condizione che non si abbia alcun nocumento per beni particolarmente meritevoli di tutela, quali l’ambiente, i beni archeologici, artistici ed architettonici, e non si produca alcun pregiudizio per il territorio in genere laddove sussistano vincoli idrogeologici o sismici. Questa finalità di recupero e salvaguardia dell’equilibrio urbanistico viene perseguita nei commi da 6 a 13 con i quali vengono previsti interventi per l’adozione dei piani regolatori, per il finanziamento delle opere di riqualificazione e messa in sicurezza del territorio nonché di rimozione delle opere abusive insanabili.

Ma dal 1995 ad oggi le cose sono decisamente cambiate sul piano costituzionale relativamente ai rapporti tra Stato e Regioni. La vecchia formulazione dell’art. 117 Cost. ricomprendeva l’edilizia e l’urbanistica tra le materie a legislazione concorrente. Dopo la riforma attuata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 si parla ora di “governo del territorio” come materia rientrante nella legislazione concorrente. Ma il governo del territorio ricomprende anche l’edilizia? Se la risposta è affermativa (e tale sembra debba essere, a nostro avviso) allora se ne deduce che  a situazione non è mutata rispetto al 1995 e che, pertanto, le affermazioni della circolare ministeriale sono tuttora valide.

Le Regioni hanno proposto questione di legittimità costituzionale del decreto legge n.269/03 sul presupposto che la materia della sanatoria non rientri nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato. Sulla base del tenore letterale del novellato art. 117 Cost., infatti, la materia della sanatoria rientrerebbe tra le materie a legislazione concorrente. Partendo da questo presupposto, lo Stato dovrebbe limitarsi a porre i principi fondamentali della materia in questione: in realtà, però, ad avviso delle ricorrenti, lo Stato non si sarebbe limitato a ciò, ma avrebbe, piuttosto, dettato una normativa autosufficiente, lasciando ben pochi margini di intervento e di autonomia alla legislazione regionale. A questo punto riteniamo utile richiamare la sentenza n. 303/2003 della Corte Costituzionale, ove si afferma che “il nuovo articolo 117 distribuisce le competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali”.

La Corte esclude che la materia dell’edilizia possa rientrare tra le competenze residuali, e, quindi, esclusive, delle Regioni (di cui al comma 4 dell’art. 117). Si legge, infatti, nella sentenza, che “la materia dei titoli abilitativi a edificare appartiene storicamente all’urbanistica che, in base all’art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola ‘urbanistica’ non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell’elenco del terzo comma: essa fa parte del ‘governo del territorio’ ”.

Ne discende che lo Stato (nell’evoluzione dei principi della legislazione in materia di titoli abilitativi per gli interventi edilizi) ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principi della materia. La possibilità per le Regioni di intervenire, ampliando o riducendo le categorie di opere per le quali è prevista la dichiarazione di inizio attività, non ha comportato un mutamento di natura della legislazione statale in materia, trasformandola da normativa di principio in normativa di dettaglio. Vi è solo, afferma la corte, “una maggiore flessibilità del principio della legislazione statale quanto alle categorie di opere a cui la denuncia di inizio attività può applicarsi. Resta come principio la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la concessione o l’autorizzazione, ed oggi, nel nuovo  testo unico n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale è la DIA, considerata procedura di semplificazione che non può mancare, libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo”.

Nella stessa sentenza la Corte si è pronunciata anche a proposito sui ricorsi presentati dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, avverso il comma 14 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, il quale delega il Governo a modificare il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all'art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, per adeguarlo alle modifiche disposte dalla legge n. 443. Ad avviso delle ricorrenti, sarebbe il concetto stesso di testo unico a violare il riparto costituzionale delle competenze e ciò non soltanto per le materie "residuali regionali", nelle quali non è prevista, in linea di principio, alcuna interferenza della normativa statale, ma anche per le materie di competenza concorrente; per queste ultime, infatti, la diretta disciplina operativa dovrebbe essere essenzialmente regionale, con il solo vincolo, per le Regioni, di conformarsi ai principi della legislazione statale. Non sarebbe, pertanto, possibile emanare un "testo unico" delle disposizioni relative ad una materia concorrente (quale l’edilizia, appunto). La Corte ritiene, però, priva di fondamento la censura che le ricorrenti muovono al comma 14. Le disposizioni impugnate, ribadisce, infatti, la Corte, “non sono ascrivibili a competenze residuali e hanno il contenuto di principî che le Regioni possono svolgere con proprie norme legislative.

Inserire quei principî in un testo unico già vigente è dunque operazione che non lede alcuna attribuzione regionale”.
Estendendo queste argomentazioni alla materia del condono, possiamo dire che tale istituto descrive, in realtà, un titolo abilitativo, cioè, il titolo abilitativo in sanatoria. Si tratta, perciò, di disposizioni di principio che saranno direttamente applicabili alle Regioni. Come la Corte Costituzionale stessa ha più volte precisato, infatti, la previsione del condono edilizio non lede le competenze delle Regioni relativamente alla materia del governo del territorio, non si realizza, cioè, un’invasione di campo da parte dello Stato ai danni delle Regioni stesse. In questo clima di incertezza, molte Regioni hanno provveduto ad emanare le proprie leggi in materia di sanatoria edilizia. La maggior parte di queste pongono dei limiti molto più restrittivi della disciplina statale alla possibilità di presentare le istanze di sanatoria. E vari sono gli  strumenti con i quali si è resa più difficile per i cittadini la possibilità di regolarizzare gli abusi.

Così, ad esempio, alcune Regioni, tra cui la Liguria e la Puglia, hanno previsto un incremento del 10% degli importi dovuti a titolo di oblazione; in altri casi (Liguria e Valle D’Aosta) è stato previsto un incremento del 100% degli oneri concessori. Altre Regioni tra le quali, in primis la Toscana, hanno, invece, previsto la non applicabilità, sul proprio territorio, della disciplina statale. La contromossa dello Stato nei confronti di questi veti regionali è stata la rimessione, alla Corte Costituzionale (che anche su questo punto si pronuncerà nel merito il prossimo 11 maggio) della questione di legittimità di questi provvedimenti “blocca condono”.

Passando ora ad esaminare alcune problematiche della legge n. 326/03, possiamo affrontare in primo luogo la questione dell’ambito oggettivo di applicazione della nuova normativa. Due sono le categorie di interventi presi in considerazione dall’art. 32:

- Ampliamenti (qualunque sia la destinazione d’uso dell’immobile)
- Nuove costruzioni
Mentre per gli ampliamenti non si pongono particolari problemi interpretativi, alcune delucidazioni richiede il concetto di nuove costruzioni. La dizione letterale della norma non richiama, infatti, le nuove costruzioni non residenziali. Al fine di chiarire questo ed altri punti ancora oscuri della disciplina statale, i Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti emaneranno una circolare che fornirà un’interpretazione estensiva e chiarificatrice delle disposizioni dell’articolo 32 della legge n. 326/03. Se, fino ad oggi, è stata incerta la condonabilità degli edifici non residenziali, nonché l’applicabilità, agli stessi, dei limiti volumetrici previsti per gli edifici residenziali, ora, alla luce dell’interpretazione che verrà fornita dalla circolare ministeriale, sarà possibile presentare l’istanza di sanatoria anche per gli edifici non residenziali, senza alcun limite volumetrico. La predetta circolare consentirà, inoltre, la sanatoria anche per coloro che, in caso di edifici residenziali, abbiano superato i 3000 mc complessivi, purchè abbattano le volumetrie in eccesso, in modo da rispettare, se pur a posteriori, il limite volumetrico fissato dalla legge.

Vediamo, in sintesi, quali altri punti saranno affrontati dalla circolare ministeriale:
- superabilità dei limiti in tema di vincoli paesaggistici di cui la comma 27, lett. d), articolo 32: i limiti alla condonabilità in caso di opere abusive realizzate su immobili soggetti a vincoli posti a tutela di interessi paesistici ed ambientali, potranno essere superati in caso di violazioni che si riferiscano all’altezza, a distacchi, cubature o superficie coperta che non superino il 2%;
- per l’interpretazione del concetto di ultimazione delle opere si adotteranno le previsioni dell’articolo 31 della legge n. 47 del 1985 secondo cui “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”. In questo senso si è espressa la III sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 394 del 1997, tutt’ora valida;
- per i mutamenti della destinazione d’uso: la relativa tipologia di abuso è diversa a seconda che gli interventi posti in essere siano o meno conformi agli strumenti urbanistici vigenti:

- mutamento senza opere e non conforme agli strumenti urbanistici: tipologia 3;
- mutamento senza opere che sia, però, conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici: tipologia 6;
- mutamento con opere: la tipologia varia in funzione della natura dell’opera e sarà, a seconda dei casi, la 3, la 4 o la 5.

Nella ristrutturazione edilizia si considerano rientranti gli interventi di demolizione e ricostruzione che non comportano variazioni della volumetria e della sagoma originarie dell’edificio. Un’ulteriore questione controversa sulla quale non sussiste uniformità di opinioni e sulla quale, purtroppo, pare che la circolare non si pronuncerà, è quella relativa all’applicabilità, o meno, con la nuova disciplina del condono, delle agevolazioni previste, in tema di oblazione, dall'art. 34 della legge n. 47/85. Alcuni interpreti, infatti, (e questa è la tesi, a nostro avviso, maggiormente fondata sul dato normativo della legge 326/03) ritengono non più applicabili le agevolazioni in oggetto. Il fondamento normativo di tale opinione è che, poichè il comma 39 dell'art. 32, della legge n. 326/03 ha escluso l'applicabilità del comma 16 dell'art. 39 della legge n. 724/94 che, a sua volta, richiamava l'art. 34 della 47/85 si deve ritenere, implicitamente, in via indiretta, abrogato anche l'art. 34 stesso.

Altri, tra cui il Consiglio Nazionale del Notariato, sono, invece, di opposto avviso. Poichè il comma 39 richiama solo l'art. 39 della legge n. 724/94 e non anche l'art. 34 della legge n. 47/82, e poiché il comma 25 dell’art. 32 prevede che le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 si ritengono tuttora applicabili, le previsioni di quest'ultimo articolo vengono ritenute ancora in vigore.

Dopo questi chiarimenti ed in attesa dell’emanazione della circolare ministeriale con cui verrà fornita un’interpretazione estensiva della disciplina nazionale del condono edilizio, volta a superare le maglie più strette dell’articolo 32, al fine di garantire allo stato il gettito di entrate che si era prefissato, non resta che attendere la pronuncia della Corte Costituzionale. Molti sono i punti da affrontare al fine di risolvere la questione della legittimità della legge in oggetto: se partiamo dal presupposto che il fondamento della disciplina del condono edilizio non è soltanto fissare la normativa del “governo del territorio” bensì, anche, la necessità di risanare la finanza pubblica, e se diamo per pacifico che la funzione di provvedere alla ristrutturazione dei bilanci dello Stato sia competenza esclusiva del legislatore statale, non si potrà non concludere nel senso della legittimità dell’art. 32 della legge n. 326/03: scopo precipuo e dichiarato del provvedimento legislativo in questione è, infatti, quello di “favorire lo sviluppo e la correzione dell'andamento dei conti pubblici”. Un condono, quindi, che non compromette irrimediabilmente l’assetto del territorio, laddove preclude la sanabilità di abusi realizzate in aree soggette a vincolo posto a tutela di interessi idrogeologici, ambientali e paesistici, che si fonda su ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria e che, dunque, non parrebbe violare il principio di ragionevolezza.

Francesca d’Amelio – Ufficio Studi Geo Network srl