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Sentenza n. 49/06 della Corte Costituzionale

Sentenza n. 49/06 della Corte Costituzionale

 

Con la sentenza n. 49/06 la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità delle leggi regionali di Emilia – Romagna, Toscana, Marche, Lombardia, Veneto, Umbria e Campania.

 

Principio fondamentale affermato dalla Consulta è che le Regioni possono fissare liberamente i limiti e le modalità concrete di applicazione del condono edilizio, a condizione che rispettino il limite massimo di 750 mc come previsto dalla legge statale, e rispettino il limite del 30 marzo 2003 quale termine ultimo entro il quale deve essere stato commesso l’abuso per il quale si chiede la sanatoria.

 

Come già affermato nella sentenza n. 196/04, si ribadisce che “nella disciplina del condono edilizio di tipo straordinario convergono la competenza legislativa esclusiva dello Stato per quanto riguarda la esenzione dalla sanzionabilità penale (con la correlativa disciplina strumentale della piena collaborazione dei Comuni con gli organi giurisdizionali quindi chiamati ad applicare la legge sul condono) e la competenza legislativa di tipo concorrente delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di «governo del territorio», nonché di «valorizzazione dei beni culturali ed ambientali»”.

 

Al tempo stesso, prosegue la Corte, non si può sottovalutare la tradizionale titolarità da parte dei Comuni dei fondamentali poteri di gestione dell’assetto urbanistico ed edilizio del territorio, ivi compreso l’ordinario e limitato potere di sanatoria edilizia, poteri che certamente potrebbero risultare anche radicalmente vulnerati dall’imposizione di uniformi condoni straordinari, che non tengano in adeguata considerazione le diverse legislazioni urbanistiche regionali e le stesse condizioni urbanistiche ed edilizie dei diversi territori. Da ciò la conclusione che, in riferimento alla disciplina del condono edilizio (per la parte non inerente ai profili penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale, ivi compresa la collaborazione al procedimento delle amministrazioni comunali), solo alcuni limitati contenuti di principio di questa legislazione possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei legislatori regionali, cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio, certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili).

 

Per tutti i restanti profili è invece necessario riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante di articolazione e specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo.

 

La sentenza n. 71/2005 ha affermato “che, a seguito della citata sentenza n. 196 del 2004, la disciplina contenuta nell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha subito una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili”. Ciò che esula dalla potestà delle Regioni, ribadisce la Corte, è il potere di rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale.

 

Su un diverso piano, la sentenza n. 196 del 2004, in considerazione della evidente interdipendenza fra la legislazione esclusiva statale sul condono edilizio per quanto riguarda le conseguenze penali e quella regionale sul condono edilizio per ciò che riguarda il versante amministrativo (sia nell’interesse delle diverse istituzioni pubbliche, che dei vari possibili interessati), ha affermato che “l’adozione della legislazione da parte delle Regioni appare non solo opportuna, ma doverosa e da esercitare entro il termine determinato dal legislatore nazionale; nell’ipotesi limite che una Regione o Provincia autonoma non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel termine massimo prescritto, a prescindere dalla considerazione se ciò costituisca, nel caso concreto, un’ipotesi di grave violazione della leale cooperazione che deve caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato, non potrà che trovare applicazione la disciplina dell’art. 32 e dell’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003”.

 

La prescrizione del termine di quattro mesi da parte dell’art. 5, comma 1, del decreto legge n. 168 del 2004 dà attuazione a quanto espressamente statuito al punto 7 del dispositivo della sentenza n. 196 del 2004, il quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 32, decreto-legge n. 269 del 2003 “nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere emanata entro un congruo termine da stabilirsi dalla legge statale». Peraltro, nella motivazione di tale pronuncia, questa Corte ha configurato tale termine come perentorio, tanto da prevedere addirittura che, ove le Regioni non esercitino il proprio potere entro il termine prescritto «non potrà che trovare applicazione la disciplina dell’art. 32 e dell’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, così come convertito in legge”.

 

Privo di fondamento, a giudizio della Corte, è il tentativo della difesa regionale di sostenere che il termine di quattro mesi decorrerebbe non già dalla data di entrata in vigore del decreto legge n. 168, bensì dalla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 191, sulla base dell’argomentazione che appunto la legge di conversione ha integrato il testo del comma 1 dell’art. 5, aggiungendo ad esso il secondo periodo: a prescindere dal fatto che quest’ultimo periodo non fa che parafrasare il contenuto della sentenza n. 196 del 2004 (prima citato) a proposito della applicabilità della normativa statale in caso di mancato esercizio nel termine del potere legislativo regionale, il riferimento al termine di quattro mesi è contenuto nel primo periodo del comma 1 dell’art. 5 e individua in modo espresso, come dies a quo, la “data di entrata in vigore del presente decreto”.

 

Per consultare il testo della sentenza n. 49/06

 

http://www.geonetwork.eu/leggi/sent49_06.pdf