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alcune osservazioni sul "patto di famiglia"

Con l’introduzione nel codice civile dei nuovi articoli 768 bis – 768 octies e la necessaria parziale modifica dell’art.458 c.c. che sanciva il divieto di patti successori, il legislatore ha deciso, in piena rivoluzione rispetto al passato, di superare tale divieto, prevedendo seppur in un ambito circoscritto – quello delle imprese familiari – la possibilità da parte del de cuius titolare dell’impresa di disporre, ancora in vita, della successione della propria impresa familiare.

La previsione del patto di famiglia crea una del tutto nuova figura contrattuale che mal si inserisce in una delle tipologie già esistenti di contratto, distinte in base alla loro onerosità, gratuità o liberalità.

Intanto perché è facile osservare come non si possa ritenere il patto di famiglia  come un contratto liberale essendo piuttosto il mezzo con cui il titolare dell’impresa si assicura la continuazione in futuro di detta attività; quanto poi a qualificarlo come un contratto gratuito od oneroso si dovrà tener conto del fatto che seppur sarà gratuita in sè la attribuzione al beneficiario dell’impresa di famiglia saranno invece onerosi gli accordi tra il beneficiario e i non beneficiati che, in base alla normativa vigente, hanno diritto ad una indennità, melius, un corrispettivo per la mancata attribuzione anche a loro della parte di spettanza della impresa (tali accordi saranno gratuiti solo nel caso in cui i non beneficiati rinuncino spontaneamente ed espressamente al proprio diritto all’indennizzo del sacrificio economico subito).

 

Altra particolarità di questo nuovo istituto è senz’altro data dal fatto che per il calcolo dell’indennità da riconoscere ai legittimari non beneficiari dell’oggetto impresa familiare non si fa riferimento al valore dell’impresa al momento della morte del de cuius (in coerenza con tutte le previsioni in materia di successioni che prendono il momento della morte come riferimento per il calcolo del l’attivo ereditario e delle quote di spettanza) bensì al momento della stipula del patto.

 

Questo aspetto ha già sollevato in dottrina dubbi interpretativi e sulla sua concreta applicazione: infatti va da sé che i non beneficiati sembrano tenuti ad accettare una situazione che potrebbe non essere tale nel momento successivo della morte del de cuius, in particolare potrebbero accettare una liquidazione parametrata ad un certo valore dell’impresa e trovarsi poi, al momento dell’apertura della successione, di fronte ad un’impresa di valore ben superiore (è astrattamente possibile anche l’ipotesi opposta ma naturalmente poco importa a chi deve rinunciare ai propri diritti sull’impresa familiare della possibilità che questa perda valore successivamente al patto).

 

Si ritiene dunque che la naturale conseguenza di questa incertezza  non potrà essere che la previsione da parte dei non beneficiati dal patto di somme di gran lunga superiori a quelle risultanti dalla valutazione dell’impresa fatta al momento dell'accordo.